Alce Nero, uomo medicina e predicatore era un Sioux, precisamente un Lakota della stirpe degli Oglala. Nacque nel 1863 a Little Powder nel Nord Dakota e morì nel 1950. Fu profeta e testimone dei fatti di sangue più agghiaccianti tra il suo popolo ed i soldati bianchi. Egli partecipò, benché giovanissimo, a diverse battaglie, finché il suo popolo si arrese e tutti vennero confinati in una riserva.
„Amico, ti racconterò un po’ delle cose della mia vita, che non sono solo della mia vita, perché cos’è un uomo per dare importanza ai suoi inverni. È la storia di tutta la vita che è bene raccontare, e di noi bipedi che la condividiamo con i quadrupedi e gli alati dell’aria e tutte le cose verdi, poiché sono tutti i figli di una stessa madre ed il loro padre è un unico Spirito.
Questo non è il racconto di un grande cacciatore o di un grande guerriero, sebbene ai miei tempi io abbia cacciato e lottato per la mia gente, questo è il racconto di una potente visione, concessa ad un uomo troppo debole per servirsene, di un albero sacro, che avrebbe dovuto fiorire nel cuore di un popolo, con fiori ed uccelli cantori, del sogno di un popolo, che morì nella neve insanguinata.
Avevo quattro anni quando udì la voce per la prima volta. Era come se qualcuno mi chiamasse, ma non c’era nessuno vicino. Questo mi successe più di una volta e ogni volta mi faceva paura e tornavo di corsa a casa.
Un anno dopo ebbi la prima visione. Una tempesta di tuoni si avvicinava dalla parte dove tramonta il sole e proprio quando entravo a cavallo in un bosco vidi un essere posato su un ramo. Questo non fu un sogno, avvenne davvero. Stavo per scoccare una freccia, quando egli parlò e disse: Tutte quelle nuvole di sopra sono da una parte. Forse voleva dire, che tutte le nuvole mi stavano guardando. Poi continuò: Ascolta, una voce ti chiama. Allora alzai lo sguardo e dalle nuvole vidi scendere due uomini, a testa in giù come frecce che cadono e mentre si avvicinavano cantavano un sacro canto ed il tuono era come un rullare di un tamburo.
Io ero rimasto li a guardarli, immobile, venivano da nord, ma quando stavano per raggiungermi, girarono dalla parte dove tramonta il sole. Poi scomparvero e cadde la pioggia con un grande vento e molto rumore. Io non raccontai questa visione a nessuno, mi piaceva ricordarla, ma avevo paura di raccontarla.“
Alce Nero sottolinea che non si trattava di un sogno, bensì di una visione di un evento ben reale. Le nuvole da lui descritte ed il rumore potrebbero indicare l’avvicinarsi di un misterioso oggetto volante, la fuoriuscita delle due creature dalle nuvole un contatto che noi in ufologia definiamo un incontro ravvicinato del 3° tipo. L’atteggiamento di Alce Nero, la sua decisione di non parlarne con nessuno, è comune a tutti i contattati.
Alce Nero continuò a sentire le voci per quattro anni, erano diventate parte integrante della sua vita, lo accompagnavano nella sua crescita e a nove anni ebbe la sua grande visione.
„Era l’estate dei miei nove anni e la nostra gente si spostava lentamente verso le montagne rocciose. Una sera ci accampammo ed io andai a mangiare nella tenda di Anca d’uomo. Mentre mangiavo udì la voce che mi diceva: È ora, ti stanno chiamando. Così mi alzai e uscii. Le gambe mi facevano male, quasi non potevo camminare e ad un tratto fu come svegliarsi da un sonno. Allora ritornai nella tenda ed Anca d’uomo li guardò in modo strano chiedendomi cosa mi stava succedendo.
Il mattino dopo levammo le tende, le mie gambe mi dolevano molto, mi aiutarono a salire sul cavallo. Una volta accampati, stavo sdraiato nella mia tenda e attraverso l’apertura potevo vedere due esseri che scendevano dalle nuvole a testa in giù, come frecce che cadono, e capii che erano gli stessi che avevo visto la sera prima.“
Le vicissitudini descritte da Alce Nero corrispondo in molti dettagli a quelle dei rapiti da un ufo, anche lo stato di semi-paralisi e la mancanza di ricordo di ciò che è avvenuto, che in ufologia chiamiamo missing time, definito da Alce Nero come il risveglio da un sonno, sono presenti in tutti i casi di abduction studiati. Egli descrive di aver cavalcato nel cielo su potenti cavalli, di aver visto sotto di sé colli e verdi vallate, di aver cavalcato con le nuvole della tempesta ed usa il suo linguaggio per descrivere una locomozione su un potente mezzo di volo.
„Non sapevo in quel momento, che era la fine di tante cose. Quando guardo indietro adesso, da questo alto monte della mia vecchiaia, ancora vedo le donne ed i bambini uccisi, ammucchiati e sparsi lungo il burrone. Posso vedere, che con loro moriva un’altra cosa, sulla neve insanguinata, un bel sogno, il cerchio della Nazione è rotto, i suoi frammenti sparsi, il sacro albero è morto.“