In UFO: casistica e storia

Questo tema ci porta indietro nel tempo, alla ricerca delle nostre radici e della nostra storia antica, che in ufologia ha un nome: “Paleoastronautica”.

È questo il termine usato da noi ricercatori, quando tracce, reperti d’arte rupestre e documentazioni archeologiche riconducono ad una conoscenza scaturita dal mito degli “DEI”, venuti dal cielo ad istruire l’uomo sulla via dello sviluppo tecnico, sociale e culturale. Questo diviene più che un indizio, nel momento in cui i testi pervenutici dalle antiche civiltà del pianeta, esprimono tutti una simile realtà, a ricordarci che gli “DEI” vennero dal cielo.

Per mezzo della paleoastronautica e dei suoi sostenitori è stato possibile raccogliere una vasta documentazione, che ogni giorno si arricchisce di nuovi elementi. Archeologi, geologi, scienziati e ricercatori sono oggi all’opera per gettare un fascio di luce sul nostro remoto passato ed affrontare con serietà un tema spinoso come questo, anche se il loro operato è ancora poco considerato dalla scienza ufficiale e non si aspettano molto da essa.

Certamente l’antico Egitto rappresenta una fonte di grande importanza, dato che una serie di egittologi ed archeologi fanno risalire la costruzione della Sfinge a ca. 15’000 anni fa, in totale assenza di qualsivoglia tecnologia avanzata. Le dinastie egiziane si inquadrano nel periodo della storia dell’antico Egitto e coprono un arco di tempo che va ca. dal 3900 a.C. al 332 a.C.. Ricordiamo che in merito alle piramidi egiziane non vi sono ancora delle certezze assolute sulle modalità della loro costruzione ed è comunque più che discutibile il fatto, che, in assenza della ruota come elemento di trasporto, gli egiziani abbiano utilizzato, massacrandoli, centinaia di migliaia di schiavi per realizzarle. Sono molti gli indizi che fanno supporre un legame tra l’antico Egitto e visitatori extraterrestri. La piramide di Cheope, per esempio, misura oggi 136,86 metri in altezza, pendenze 51° 50′ 35″ per tutte e quattro le pareti. È composta da 2,3 milioni di blocchi di pietra calcarea e di granito, con un peso che va dalle 2,5 alle 70 tonnellate per ogni blocco. In totale la piramide pesa 5,7 milioni di tonnellate!

L’ipotesi aliena è presente in tutta la storia dell’antico Egitto. Le autorità del Cairo si sono mostrate in diverse occasioni reticenti a fornire permessi di studio sulla Sfinge e sulla zona adiacente ad archeologi e geologi coraggiosi e pertanto non ortodossi, quali John West, Robert Bauval, Adrian Gilbert e Graham Hancock. Essi sostengono che lo schema stellare della costellazione “Orione” sia stata riflessa sulla Terra dal posizionamento delle piramidi nella piana di Giza.

Inoltre sono del parere che gli Egizi non potevano aver costruito le piramidi, viste le analisi scientifiche eseguite sul materiale di costruzione. Non sarebbero state edificate circa 4’500 anni fa, cioè ca. 2’500 anni a.C., ai tempi dei faraoni della IVa dinastia, come oggi comunemente accettato, ma ca. 10’500 anni a.C., cioè oltre 12’500 anni fa. Gli Egizi le avrebbero dunque già trovate costruite, cosi come la Sfinge.

I numeri della Grande Piramide, detta anche la piramide di Cheope, come summenzionati, parlano da soli.

Ciò che sappiamo con certezza è che gli Egizi non usavano dimostrare le formule matematiche. Inoltre le tecniche di costruzione erano considerate un segreto di Stato, per motivi che possiamo immaginare. Riguardo alla posa in opera abbiamo numerosi indizi che rendono plausibile l’utilizzo di carrucole e tronchi.

Non conoscere la ruota, intesa come tecnologia di trasporto, non implica l’ignoranza di oggetti tondi ed il loro impiego per altre funzioni tecnologiche.

Ma ciò risulta insufficiente per spiegarne la costruzione. Chi nega la paternità degli Egizi non fa che spostare indietro la questione in epoche dove diviene sempre più improbabile la capacità di costruire grandi strutture da parte dell’uomo. Per quanto gli studiosi menzionati si tengano prudenti nelle loro affermazioni, è inevitabile che le loro tesi si leghino alla teoria degli antichi astronauti, ovvero ad un aiutino da parte di non precisati esseri extraterrestri. Si ricordi che la Grande Piramide è un colosso che avrebbe dovuto essere costruito in pochissimo tempo, dato che il faraone Cheope è morto a poco più di vent’anni.

Si è inoltre scoperto che la Grande Piramide può concentrare energia elettrica e magnetica nelle sue camere e sotto la sua base. Queste sue proprietà potrebbero fare in modo che la piramide diventi un modello a cui ispirarsi per la produzione di sensori e celle solari ad alta efficienza.

“Le piramidi egiziane hanno sempre attirato grande attenzione. Anche noi scienziati siamo sempre stati interessati. Così, partendo da alcune evidenze, abbiamo deciso di considerare la Grande Piramide alla stregua di una particella che dissipa onde radio”, afferma il Dott. Andrey Evlyukhin che ha supervisionato e coordinato lo studio sulle qualità elettromagnetiche della costruzione egizia.

I ricercatori della ITMO University di San Pietroburgo hanno osservato la distribuzione dei campi elettromagnetici all’interno della piramide, studiando le interazioni tra le onde in una sezione di lunghezza che va da 200 a 600 metri. Tuttavia, vista la mancanza d’informazioni complete sulla struttura della piramide, il team ha dovuto procedere per ipotesi: “Ad esempio, abbiamo dato per assodato che non vi fossero spazi sconosciuti all’interno e che il materiale da costruzione fosse uniformemente distribuito dentro e fuori dalla piramide.

Attraverso queste ipotesi abbiamo ottenuto risultati interessanti che possono trovare importanti applicazioni pratiche”.

Gli scienziati hanno scoperto che la piramide concentra l’energia elettromagnetica nelle sue camere nascoste (come, la camera ideata per contenere i resti degli antichi regnanti e una terza camera incompiuta, ubicata sotto la base).

“Abbiamo dimostrato che la piramide disperde le onde elettromagnetiche e le focalizza nella regione del substrato”.

Si tratta di una deduzione che, non solo svela misteri inerenti la costruzione, ma che potrebbe costituire un modello per progetti di nanoparticelle efficienti. Lo afferma Polina Kapitanova, Ph.D. e membro della Facoltà di Fisica e Tecnologia della ITMO University di San Pietroburgo.

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